domenica 13 settembre 2015

LA DAMA VELATA


A cavallo tra '800 e '900 si narrava che nel Parco Scipione proprio davanti al Castello Sforzesco di Milano, di notte si aggirasse il fantasma della Dama Velata. 




I primi racconti del fantasma che aleggiava nel Parco, in particolare nelle sere nebbiose d’inverno, iniziarono a circolare in città sul finire dell'Ottocento quando il Parco sorse là dove una volta si trovava il "barcho" ducale visconteo. 





Le testimonianze di coloro che avevano visto il fantasma si diffusero rapidamente per le vie della città ed erano tutti molto simili. Si narrava infatti che nelle sere di nebbia quando il Parco era ormai deserto, a chi lo attraversava per tornare a casa poteva capitare di sentire prima profumo di violette e pochi istanti dopo appariva in lontananza una figura di donna dai contorni indistinti che cominciava rapidamente ad avvicinarsi al malcapitato. Più si avvicinava e meglio si notavano il suo lungo vestito nero e il velo nero che le copriva il volto
Mentre camminava con passo elegante si poteva intuire che si trattasse di una donna bellissima e una volta fermatasi a poca distanza dal volto dell'uomo ormai da lei ipnotizzato, la dama gli porgeva la sua mano gelida, se questi la raccoglieva veniva da lei trascinato nella nebbia per i sentieri nascosti del Parco fino al cancello di una grande villa. Il volto velato della Dama lasciava trapelare una profonda tristezza mentre con la grossa chiave arrugginita apriva il cancello. 





All'interno della villa l’uomo poteva notare che vi erano numerose candele ad illuminare le pareti listate a lutto mentre con la Dama in nero attraversava sale con marmi e stucchi fino a raggiungere un grande salone dal quale proveniva una musica innaturale. Qui, mentre in un angolo del salone l'orchestra suonava, la Dama trascinava il suo accompagnatore in un vortice di danze sino a renderlo in balia del suo volere. Dopo ore di balli, la Dama accompagnava l'uomo in un letto a baldacchino, dove lei si spogliava mostrando il suo corpo bellissimo senza mai svelare il suo volto. I due giacevano insieme e solo dopo l'uomo trovava il coraggio di alzare quel velo che la donna fino ad allora non si era mai tolta scoprendo con terrore un teschio con le orbite vuote che lo fissano negli occhi. Tale tremenda scoperta faceva fuggire tutti gli uomini dalla Dama Velata che non cercava mai di trattenerli sapendo che sarebbero comunque tornati a cercarla. 



Si narrava che tutti gli uomini vittime della Dama Velata conoscevano un amore così forte  che perdevano il senno sino a portarli alla pazzia, trascorrevano infatti il resto della loro vita cercando di ritrovare quella grande villa dove avevano ballato con lei. 



La vicenda all’epoca ebbe un’eco tale che si decise di battere a tappeto il Parco alla ricerca della Dama Velata e della sua villa. Qualcuno addirittura credette d’averla trovata: una grande villa, oggi scomparsa, che sorgeva all'incrocio con via Paleocapa per far posto agli alberi del Parco.

sabato 11 luglio 2015

TORNADO THE DAY AFTER


Come per l'alluvione del 2010 che colpì i territori di Padova e Vicenza anche questa volta l'informazione nazionale è latitante... onore al merito alla stampa locale e ad alcune tv locali che fanno anche da ponte per la comunicazione con la Protezione Civile. 
Antenna 3 è molto attiva e comunica informazioni che servono anche per la gente del luogo che magari ha pure parenti e conoscenti nelle zone colpite.


Non c'è tempo per le lacrime e siamo già al lavoro, non c'è tempo da perdere e anche Villa Fini verrà ricostruita.

L'amarezza che ci può essere è che per la seconda volta da Roma 
ci fanno sentire cittadini di serie B

Ora rimango in silenzio e lascio parlare le immagini.


Villa Fini Dolo 8 Luglio 2015


Oltre 300 Km/h

Villa Fini Dolo 9 Luglio 2015







 «Abbiamo vissuto momenti di terrore. Tutto è durato 5 minuti, ma sembrava l’apocalisse».




In relazione ai gravi fatti accaduti nella giornata di ieri - 8 luglio 2015 - nella Frazione di Cazzago di Pianiga, il Comune di Pianiga ha aperto un conto corrente bancario per la sottoscrizione di aiuti in denaro destinati ai cittadini colpiti dalla calamità. Chi intendesse versare i contributi può farlo tramite i seguenti riferimenti:

Banca Santo Stefano Agenzia di Pianiga
Via Guido Rossa, 1 - 30030 Pianiga (Ve) - tel. 041/5781472
IBAN: IT68K0899036230019010000936
BIK: ICRAITRRRI0
INTESTATO A COMUNE DI PIANIGA
CAUSALE: Comune di Pianiga Emergenza Tornado Cazzago

Al momento sono attivi i vigili del fuoco e personale volontario preparato, chi volesse in un secondo momento dare una mano può rivolgersi a:


domenica 5 luglio 2015

VILLA BADOER TRA ARTE E STORIA

  




Villa Badoèr detta la Badoera, è una villa veneta e si trova a Fratta Polesine in provincia di Rovigo. E' stata progettata dall'architetto Andrea Palladio nel 1554 e costruita tra il 1556 e il 1563 su commissione di Francesco Badoer. E' la prima villa in cui il Palladio utilizza pienamente un pronao con frontone a facciata, inoltre è l'unica villa realizzata dall'architetto vicentino nel territorio polesano.

Le sale del piano nobile sono finemente decorate da grottesche di bellissima realizzazione da parte del pittore Giallo Fiorentino.

Villa Badoer e le altre ville palladiane del Veneto è inserita nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. 

La barchessa settentrionale della villa ospita il Museo Archeologico Nazionale di Fratta Polesine.








 








Donata Badoer appartenente all'antica famiglia patrizia veneziana e antenata di Francesco, era figlia di Vitale Badoer e sposò Marco Polo da cui ebbe tre figlie: Belella, Fantina e Moreta Polo.



La prosperità economica di questa famiglia diede anche origine ad un modo di dire: pien come el Badoer per indicare una persona molto ricca.




Le giornate della Carboneria -XIV Edizione
7, 8 e 9 novembre 2015
Fratta Polesine


La rievocazione dei moti carbonari nella "Fratta austriaca" del 1818 e la loro repressione rappresenta un tributo alla nostra Storia risorgimentale e agli ideali che hanno sostenuto il concetto di Patria.




Pranzo offerto ai Carbonari da Cecilia Monti di Fratta


Nei giorni successivi al pranzo offerto ai Carbonari da donna Cecilia Monti di Fratta, i convitati vennero arrestati, processati e condannati al carcere duro dello Spielberg. 

Il conte Antonio Fortunato Oroboni, compagno di prigionia di Silvio Pellico che lo ricorda ne "Le mie prigioni", non sopravvisse agli stenti e morì dopo due anni.























Pranzo offerto a Carbonari da Cecilia Monti di Fratta

Nei giorni successivi al pranzo offerto ai Carbonari da donna Cecilia Monti di Fratta, i convitati vennero arrestati, processati e condannati al carcere duro dello Spielberg. Il conte Antonio Fortunato Oroboni, compagno di prigionia di Silvio Pellico che lo ricorda ne “Le mie prigioni”, non sopravvisse agli stenti e morì dopo due anni.


LEGGENDA DEL NODO D'AMORE








L'antico paese di Valeggio sul Mincio situato tra le città di Mantova e Verona vanta una propria leggenda quella degli innamorati Silvia e Malco


Il Nodo d'Amore


Alla fine del 1300 nel corso di una delle numerose guerre tra varie Signorie e feudatari che segnarono l'Italia settentrionale il Signore di Milano, Giangaleazzo Visconti detto il Conte di Virtù, raggiunge le sponde del fiume Mincio e vi stabilisce una testa di ponte per lo sviluppo di un piano militare contro i suoi nemici.

Nell'accampamento delle truppe viscontee il buffone Gonnella intrattiene i soldati alla luce fioca dei falò raccontando un'antica leggenda.

Le acque del Mincio sono popolate da ninfe bellissime che talvolta escono dal fiume per danzare in prossimità delle rive, ma una vecchia maledizione le costringe ad assumere le sembianze delle orribili streghe.



Mentre i soldati di tutto l'accampamento dormono, giungono dal fiume le streghe che si mettono a danzare tra i soldati addormentati. Soltanto Malco, il loro valoroso capitano, si ridesta e affronta le misteriose creature che vedendosi scoperte fuggono verso il Mincio.
Una di queste però viene raggiunta e nel disperato tentativo di scappare perde il mantello che l'avvolgeva rivelandosi a Malco come ninfa.



Nel breve corso della notte tra i due nasce l'amore e l'alba li sorprende a promettersi eterna fedeltà.

Silvia, la bella ninfa, deve ritornare nelle profondità del fiume prima del sorgere del sole e lascia a Malco, come segno d'amore, un fazzoletto teneramente annodato. Il giorno seguente giungono alla presenza del Conte di Virtù tre splendide ambascerie, durante il ricevimento alcune belle fanciulle eseguono una danza in onore degli ospiti del Conte. Il capitano Malco riconosce in una di esse Silvia che l'amore per il bel soldato l'ha spinta ad affrontare il tumultuoso mondo degli umani.




Gli sguardi innamorati di Silvia e Malco destano però la gelosia di Isabella, la nobile dama cugina del Conte di Virtù che aspira a conquistare il cuore del capitano Malco.

Spinta da tale gelosia, Isabella denuncia Silvia come strega al Conte di Virtù. La festa viene interrotta e viene dato l'ordine di arresto per Silvia. Malco tempestivamente si frappone tra lei e le guardie e permette così a Silvia di fuggire verso le acque del fiume Mincio. Malco si arrende alle guardie e consegna la sua spada al Conte adirato. Al calar della sera Isabella tormentata dal rimorso per il suo gesto, si presenta a Malco che langue in cella ed invoca il suo perdono. Mentre i due parlano sopraggiunge Silvia ancora una volta emersa dalle acque per salvare il suo amato Malco e costringe Isabella ad andarsene.


Silvia propone a Malco l'unica via di scampo: non sulla terra dove ormai non ci può essere felicità per i due amanti ma nelle acque del Mincio dove vivono le ninfe. Malco accetta senza esitazione e si dirige con Silvia verso il fiume.



Il Conte di Virtù allertato dalle guardie della fuga dei due amanti si lancia al loro inseguimento ma viene momentaneamente trattenuto da Isabella, la quale pentita, chiede rispetto e comprensione per il loro grande amore che non conosce limiti.




Le guardie e il Conte arrivano alle sponde del fiume poco dopo che i due innamorati Malco e Silvia si sono lasciati trasportare nelle acque del Mincio. Il Conte di Virtù trova abbandonato sulla riva un fazzoletto di seta dorata simbolicamente annodato dai due amanti per ricordare il loro eterno amore.





Ancora oggi si racconta che le donne e le ragazze di quel tempo nei giorni di festa avessero voluto ricordare la storia dei due innamorati tirando una pasta sottile come la seta tagliata e annodata come il fazzoletto dorato e arricchita da un delicato ripieno.

Era nata la leggenda del Nodo d'Amore e la tradizione del Tortellino di Valeggio.




Dal 1300 ad oggi ogni anno a Valeggio sul Mincio gli abitanti organizzano una cena popolare per commemorare i due innamorati  tramandando la tradizione del tortellino a nodo d'amore. 








sabato 4 luglio 2015

LA PRINCIPESSA JANA E I NANI DI VALMARANA


 
Giovanni Antonio Fasolo - ritratto della famiglia Valmarana
Pinacoteca Palazzo Chiericati - Vicenza


Questa volta vi racconto


una delle più note ed antiche leggende vicentine

Quella della principessa Jana e dei nani di Villa Valmarana


Si narra di un nobiluomo vicentino che aveva una figlia, Jana, dal bellissimo volto ma dal corpo piccolino, era nata nana. Il padre che amava molto la figlia, le fece costruire una grande villa ai piedi di Monte Berico, lontano da occhi indiscreti e la circondò di uno stuolo di servi della sua stessa statura pronti a soddisfare ogni suo desiderio. In questo modo, pensava il padre, non poteva rendersi conto della sua diversità né avere contatti con persone provenienti dal mondo esterno la villa che avrebbero potuto procurarle inutili sofferenze e frustrazioni.

Alla fanciulla era stato infatti proibito di affacciarsi alle finestre della villa che davano sulla strada mentre poteva girare tranquillamente per il parco, Jana non poteva nemmeno uscire da quella gabbia dorata, viveva felicemente inconsapevole di come fosse effettivamente la realtà fuori fuori da quelle mura. Jana ormai si era fatta una giovane donna ma non aveva fino ad allora conosciuto né le gioie né i dolori dell'amore. Crescendo la ragazza si era fatta sempre più curiosa e decise che era arrivato il momento di sperimentare di persona il mondo "fuori le mura" aggirando così i divieti del genitore.

Un giorno si affacciò proprio ad una delle finestre che davano sulla strada sottostante proprio nel momento in cui stava transitando a cavallo  un giovane principe che vedendo il suo bel volto se ne invaghì. Jana per timidezza quel giorno non uscì sul terrazzo e rimase affacciata alla finestra a ricambiare il cortese saluto del principe poi i due si accomiatarono, il giorno successivo più o meno alla stessa ora Jana si affacciò di nuovo a quella finestra nella speranza di rivedere quel bel principe a cavallo, si sentiva battere forte il cuore in petto, poi pensò: "E se non viene?" ma tale dubbio fu fugato dopo poco tempo, lungo la strada le parve di sentire da lontano il rumore della cadenza tranquilla degli zoccoli di un cavallo, era il suo principe! ne era sicura. 

Con il cuore in gola si sporse più che poté dalla finestra ed alla fine lo vide arrivare. Per l'occasione Jana aveva indossato il suo vestito più bello e visto che era primavera aveva messo tra i capelli dei piccoli fiori azzurri a mo' di coroncina, questa volta il principe si sarebbe fermato a parlare con lei e lei sarebbe uscita in terrazzo, voleva mostrarsi a lui e fargli vedere quanto era bella. Quando finalmente il principe arrivò i due ragazzi si misero a conversare e dopo un po' Jana prese coraggio ed uscì in terrazzo. Ma quando lei uscì e si mostrò per com'era vide sul volto del principe un'espressione di orrore e fuggì lasciando che Jana continuasse a chiamarlo a voce alta. A quei richiami della ragazza i nani della servitù, erano diciassette, corsero tutti in cima al muro di cinta per vedere cosa stava succedendo. 

La ragazza disperata dalla reazione del principe realizzò per la prima volta nella sua vita ciò che era, e ciò che era, ne era convinta Jana, faceva inorridire il suo bel principe. Tra le lacrime per quella pena d'amore e per il suo aspetto che ora percepiva come "diverso" Jana andò incontro al suo destino infelice: proprio da quel terrazzo si tolse la vita gettandosi nel vuoto.

Si narra che i suoi fedeli servitori, saliti sul muro di cinta rimasero impietriti dal dolore nell'assistere alla triste sorte della loro padroncina e ancora oggi li si può vedere in questa triste posa.

 Riporto anche una versione della leggenda di Jana in dialetto veneto:

"Cò te passi el Cristo,'pena zo da Monte, te pol ciapare par na stradela indove te par che anca i griji tasa, incantà dai cocòli che se fa i morosi inte la chiete dei cantoni pi riomàntici e sconti. A te te caterè presto passejar drio na mura che costeja la magnifica Vila Valmarana e là, da l'alto, fa la guardia on s'ciaspo de nani in piera: chi co la facia bièrba e sgaja, chi perso drio i sò pensieri, chi vestìo a la manco pezo e chi che fa 'l galeto co 'l so costume de corte e paruca insiprià. Vòle la tradission che ste creature, ani enòri, fusse custodi de la "Jana", pricipessa che, par so scarogna, jera "nana".

I sui, par no farghe pesare la sò diversità, la gavea da sùito tegnù sarà co 'l scroco 'te la Vila, metèndoghe al servissio na corte intiera de nani, da i servidori a le dame de compagnia, da i cavalieri ai òmani qualunque che inte on regno qualsiasi se pol catare. Adiritura, la legenda conta che parfina i animai che la gavea torno fusse "nani", e le piante, e i fioriche spaniva torno a chel lògo... Ma anca se na natura maregna gavea vossudo saràrghe a sta pora tosa la speransa de poder on dì conossàre l'amore, la Jana la gavea tuti i sogni che da senpre tàmbura 'tel core de le zovanette, cò le riva a l'età da marìo.

E na matina la principessa, fin che la varda fòra dal balcon, la vede al de là de la masièra on cavaliere belo 'fa 'l sole, inmagà davanti a l'armonia de la natura de la "Valletta del silenzio". La Jana se inamora de paca ma, 'tel stesso momento, la capisse anca la so "diversità" xe 'n inpedimento massa grando e che no la podarà mai sperare che 'l so amore par el bel cavaliere spanissa e vegna liberamente ricanbià.... Par la disperassio, la se trà zo dal balcon e tuti i nani de la Vila, par el dolore de la so morte, resta pietrificà".

autrice: Ines Scarparolo







Diciassette statue di nani si affacciano sul muro di cinta e danno il nome alla Villa. Attorno a queste figure enigmatiche è nata la leggenda di Jana


La Villa, è diventata di proprietà nel 1720 della nobile famiglia vicentina dei Valmarana, che tutt'ora vi abita, è aperta al pubblico, così come la attigua villa più conosciuta: Villa Capra detta "La Rotonda" del Palladio ed anch'essa di proprietà dei Valmarana. Le due Ville distano poche centinaia di metri l'una dall'altra.




Classico esempio di "Villa di campagna", Villa Valmarana fu inizialmente costruita per conto del giuriconsulto Gian Maria Bertolo nel 1669. 

Nel XVIII secolo, l'ultimo della Repubblica di Venezia, la vita dei nobili era tutta assorbita da divertimenti e ostentazione: le ville lungo la Riviera del Brenta ospitavano spesso feste sfarzose che duravano anche più di un giorno. Con la necessità di alloggiare gli invitati le barchesse - ovvero i granai sotto le cui arcate in cui venivano riposte le barche - furono trasformate in foresterie per assolvere a questa esigenza: ospitare i "foresti" cioè coloro che venivano da fuori, in questo caso gli ospiti dei nobili. Così fecero anche i Valmarana. 

La palazzina principale e la foresteria furono affrescate da Giambattista e Giandomenico Tiepolo.


 


Gli affreschi di Giambattista e Giandomenico Tiepolo

"Oggi ho visitato la Villa Valmarana decorata dal Tiepolo che lasciò libero corso a tutte le sue virtù e alle sue manchevolezze. Lo stile elevato non gli arrise come quello naturale, e di quest'ultimo ci sono qui cose preziose, ma come decorazione il complesso è felice e geniale."

da: Diario del viaggio in Italia - Goethe, 24 settembre 1786








CITTA' DELLE ROSE


 "Città delle Rose"





"la terra in cui produr di rose 
le dié piacevol nome in greche voci"

                                                                                     da:Orlando furioso - Ludovico Ariosto




Secondo una leggenda il nome di Rovigo deriverebbe da Rhodon, ovvero dalle rose che in questi luoghi fiorivano spontaneamente nell'antichità. 


Un recente studio porterebbe a identificare intorno all'attuale Polesine la zona di battaglia dei Campi Raudii in cui i Romani sconfissero i Cimbri nel 101 A.C.. Da qui l'ipotesi che la radice celtica raud si sia contratta in rod ed abbia dato origine al toponimo documentato nell'Alto Medioevo. Potrebbe dunque essere che una "Rovigo romana" o "Vicus Raudus" sorgesse nei pressi del teatro della famosa battaglia e secondo questa ipotesi il nome significherebbe Città della terra rossa.

Alcuni storici parlano di Polesine: territorio che comprende Adria e Rovigo.

Inoltre si pensa che la colonizzazione del Polesine sia da attribuire ai Greci, infatti il compagno nella guerra di Troia di Ulisse, Diomede, assieme al suo equipaggio fu il primo a scoprire Adria che in quel periodo era sul mare.

Ancora sul nome:

...Qualunque sia la ragione che la corte Bonevigo sia stata appellata Rodige, è certo che Rodige è lo stesso che fondo Roda e Corte Roda, e che ne vennero con lievi alterazioni Rodico, Rodigio, Rhodigium, Rovigo. F.A. Bocchi aveva probabilmente centrato il bersaglio. Infatti gli studi recenti di archeologia ipotizzano che la Corte Roda abbia origini longobarde. Presso i Longobardi, teste autorevole P.S. Leicht, i raggruppamenti rurali erano detti "Vici", singolare "Vicus" (Vico). Ora, nella lingue germaniche, rileva il Cherubini, i nuclei abitati rurali erano detti berg, feld, reuth, ma anche Rode. Un qualsiasi vocabolario di tedesco (uso quello curato da P. Giovannelli e W. Frenzel (Signorellli, 1972)), traduce la voce Rode(land), con terreno dissodato. Parer evidente che in epoca longobarda Rovigo era detto Rodevico, o Radavico, ossia villaggio (vico) che sorgeva su un terreno dissodato (Rode). E' ovvio che il nome venne successivamente "volgarizzato": facile intuire la caduta della d, e il rapido passaggio di c a g, dando così vita al più semplice e "volgare" Ro(d)-vig(c)o= Rovigo, anticamente semplificato in Rod(v)ige, con la caduta della v, difficile alla pronuncia dopo la d.



Ed è proprio ad Adria che il vescovo Paolo Cattaneo prese la decisione di trasferire la sede vescovile a Rovigo.

Il vescovo indeciso sul luogo dove condurre la sua gente vittima dell'ira degli Ungari, vide in sogno San Pietro che gli diede un meraviglioso pastorale cosparso di profumate rose rosse fiorite. Proprio per questo si dice che fu Rovigo la meta della loro peregrinazione. Il vescovo Paolo Cattaneo decise di costruire un castello a difesa dai barbari.

Nel 920 il vescovo Cattaneo chiese al papa Giovanni X la facoltà di costruire una fortezza (castrum construere) nel "fundus o vicus Roda" - Rovigo. Il permesso gli fu concesso.



... Ma che c'entra il "Castrum Rodige" con la "potenza" dei Vescovi-Conti adriesi? C'entra nel senso che qualche studioso si è chiesto come aveva fatto un povero "vescovo di campagna" a trovare i soldi per costruire addirittura un castello nella solitaria "Curte Roda". Anche qui gli studiosi, specie quelli locali, si sono dati da fare per trovare la quadratura del cerchio. Osservo preliminarmente che uno dei più validi, Jacopo Zennari, lo risolse in due modi complementari: da un lato riportando tutta una messe di documenti che testimoniavano la potenza economica su cui potevano contare i Vescovi-Conti adriesi (vastissimi territori in tutto il Polesine fino al mare; dall'altro, appoggiandosi a fonti documentarie certe, come la donazione fatta "dalla contessa Franca.. vedova del Marchese Almerico". Il documento di redazione fu redatto "actum", "felicemente" nel 954 nel castello di Rovigo- Castrum Rodigii feliciter" Si fa notare che a 32 anni dalla data di concessione di Giovanni X al Vescovo Cattaneo, il castello di Rovigo era bello e fatto, tanto è che la città viene nominata nel documento come "castrum". Dunque, la costruzione del "castrum" l'aveva praticamente finanziata il buon Almerico, attraverso sua moglie. In realtà il "castrum" della "Curte Roda", come altri "castra" dello stesso periodo, erano fatti secondo il modello dei "catra" romani, ovvero si trattava di zone militari fortificate mediante terrapieno circondato da una fitta palizzata e da un fossato. "Una fortezza della pianura del Po".



Torre Donà

Del Castrum Rodige ora è possibile  ammirare una delle torri medievali più alte d'Italia: Il mastio del castello, meglio nota come torre Donà, alta 66 metri.


Tra il 944 e il 1054 l'autorità dei Vescovi-Conti adriesi entra in crisi. L'indebolimento dell'autorità vescovile è dovuto a interventi militari  in Polesine da parte degli Estensi di Ferrara, dei Carraresi di Padova, e dei marchesi della Marca di Verona, (cioè un'ampia circoscrizione pubblica di età carolingia e del Sacro Romano Impero creata nelle zone di confine o aree che necessitavano di un coordinamento militare particolarmente efficace), istituita nel 951 per volontà di Berengario II e sottomessa al Ducato di Baviera, che si contendono che si contendono il dominio del territorio. L'area del Polesine diventa territorio di confine che viene conteso tra Marchesati confinanti.





1221- Federico II di Svevia, con editto imperiale, conferma ai marchesi Estensi di Ferrara l’investitura su Adria e Rovigo.

1285 – Il Polesine è teatro di scontri tra Padovani e Ferraresi.

1294 – L’imperatore  Rodolfo conferma l’investitura del Polesine agli Estensi.

1514- Il Polesine passa sotto il dominio incontrastato di Venezia.





Stemma della città all'epoca della Repubblica Veneta



territorio di Rovigo all'epoca della Serenissima Repubblica Veneta



Qui cito solo un monumento, del XVII secolo:



Chiesa della Beata Vergine del Soccorso - La Rotonda - Rovigo


Tra la fine del '500 e per buona parte del '600 in Europa era diffusa la peste. Le popolazioni venete fecero sorgere nel territorio veneto molti capitelli, santuari e chiese dedicate alla Madonna come supplica ed ex voto per la preservazione delle genti da questo flagello, la peste appunto. 





L'immagine della Madonna con Bambino venne ribattezzata dai fedeli Santa Maria del Soccorso a seguito dei miracoli legati alla preservazione della popolazione locale dalla peste. Il piccolo oratorio dove era collocata l'immagine della Madonna divenne oggetto di culto e pellegrinaggio tanto da non poter sopportare tale affluenza di fedeli. Fu così decisa la costruzione della Chiesa della Beata Vergine del Soccorso e fu dato l'incarico a Francesco Zamberlan collaboratore di Andrea Palladio per la sua progettazione e realizzazione.


Nel santuario è presente anche un pregevolissimo organo a canne, opera n° 34 del famoso costruttore d'organi Gaetano Callido. A destra dell'organo si può ammirare uno dei tre teleri dipinti da Antonio Zanchi che raffigura la glorificazione del podestà Verità Zenobio (1682), negli altri due sono raffigurate le glorificazioni: del precedente rettore di Rovigo Antonio II Loredan (1673) e del successivo rettore Almorò Dolfin (1683).


A parte il grande valore artistico delle Ville Venete che si trovano in Polesine soprattutto in Fratta Polesine, a cui vi rimando ad altri post dedicati: Villa Badoer, Villa Loredan-Molin ora Avezzù, Casa Campagnari ora Municipio,  Villa Dolfin, Villa Labia, vorrei soffermarmi di più sul valore storico di tre Ville che tengono il filo del discorso seguito fin qui: Palazzo Monti casa dei Carbonari ora Villa Viario, Villa Oroboni, Villa Cornoldi.


Dopo la fine della Repubblica di Venezia, le scorrerie di Napoleone sino a Venezia dettero poi come risultato il passaggio tutti i territori veneti "liberati" agli Asburgo, con somma delusione del Foscolo, mantenendo quasi intatti i confini della Repubblica Cisalpina. In queste terre polesane ricche di Arte nelle sue varie forme, cominciarono ad esserci due tipi di insofferenze: ribellione alla miseria tra i contadini e voglia di indipendenza tra gli intellettuali e la piccola borghesia. Una cosa era certa le cose dovevano cambiare, era quello il tempo. 

Ed ecco i romanzi: Piccolo mondo antico e Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro, Le mie Prigioni di Silvio Pellico, le opere liriche di Verdi con sottostante connotazione irredentista vedi l'aria Va pensiero del Nabucco cantata dei servi della borghesia milanese insieme al coro del Teatro della Scala in occasione della presenza della principessa Sissi. I vari moti che avvengono tra Veneto e Lombardia, i raduni dei Carbonari anche a Fratta Polesine.




Villa Monti ora Villa Viario

Nel catasto austriaco del 1852 la casa è di proprietà di Giovanni Monti, livellario del nobile Gaspare Lippomano; il rustico, invece, è di proprietà del fratello Giacomo, anch'esso livellario del medesimo Lippomano. I due fratelli Monti erano entrambi affiliati alla Carboneria.






Palazzetto dei Villa-Cornoldi ora Fanan


Agli inizi del XIX secolo la Villa è stata più volte sede di riunioni Carbonare, Il 12 dicembre del 1818 viene arrestato Antonio Villa, il nipote Francesco, carbonaro polesano morto allo Spielberg con un altro carbonaro, il suo concittadino e amico Antonio Oroboni.


Per quanto si voglia romanzare la civiltà contadina come una civiltà serena, la Storia purtroppo ci riporta alla dura realtà. Dal periodo feudale in poi, anche sotto la Repubblica di Venezia, la vita in questo territorio non era poi così idilliaca, ma era così anche in altre parti del Veneto. La vita era dura anche perché si viveva in territori non molto salubri, vi era anche la presenza della malaria e della pellagra tra le malattie più frequenti e le rivolte per migliori condizioni di vita c'erano state anche ai tempi degli Estensi. Un'idea di quello che era la vita in questi territori la si può avere leggendo "Il Mulino del Po" di Riccardo Bacchelli anche se parla dell'area del ferrarese le condizioni di vita in quella del Polesine erano molto simili.


 

Dal 9 giugno 2015 il Parco Delta del Po è ufficialmente riserva biosfera MAB UNESCO
Vi assicuro che ho trovato difficoltà a scegliere le immagini... tutte troppo belle!! Sicuramente da visitare!

Ci sono state nel tempo numerose opere di bonifica del territorio a partire da quelle messe in atto dalla Repubblica Veneta e poi dall'amministrazione asbugirca fino al ventennio del periodo fascista. Purtroppo dopo l'alluvione del 1951 andarono distrutte le Botti Barbarighe. Successivamente fu realizzato un bacino unico. 


Anche Rovigo come il resto del Veneto ha visto espatriare molti suoi figli, come non ricordare i molti che partirono per le miniere del Belgio? Grazie anche ai nostri veneti l'Italia a potuto svilupparsi nei primi anni '50: 50.000 uomini per le miniere belghe in cambio di carbone, dal solo Veneto ne partirono circa 30.000.

Per ultimo come non ricordare le partite di rugby tra il Petrarca rugby di Padova, il Benetton rugby  di Treviso e il rugby Rovigo Delta?



Badia 22-12-2013 Rugby Junior Under 16 vs Petrarca Rugby Junior Under 16

... E la Storia continua, largo ai giovani!!