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lunedì 8 febbraio 2016

MADONNA CANDELORA


Il 2 febbraio la Chiesa Cattolica celebra la Presentazione di Gesù al Tempio. Tale celebrazione è conosciuta come la Candelora.




Questo perché in tale giorno si benedicono le candele simbolo di "Gesù Luce delle genti" così come venne chiamato Gesù da Simeone al momento della sua presentazione al Tempio di Gerusalemme come prescriveva la legge giudaica per i primogeniti maschi.


Presentazione al tempio di Gesù - Giotto - Cappella degli Scrovegni Padova


La festa è anche detta della Purificazione di Maria perché, secondo l'usanza ebraica, una donna era considerata impura del sangue mestruale per un periodo di quaranta giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per purificarsi. Il 2 febbraio cade proprio dopo 40 giorni dal 25 dicembre data del parto di Gesù.

Le celebrazioni legate alla luce in questo periodo dell'anno esistevano anche in alcune tradizioni religiose pre-cristiane come quella celtica, la Festa di Imbolic, e quella romana, la celebrazione dei Lupercali.  Secondo alcuni storici tali festività preesistenti furono sostituite con la Candelora cristiana vista anche la coincidenza del periodo di 40 giorni dopo la nascita di Gesù.



Presentazione al Tempio di Andrea Mantegna - Berlino

La Festa di Imbolic nella tradizione celtica, segnava il passaggio tra l'inverno e la primavera cioè tra il momento di massimo buio e freddo e quello del risveglio della luce. La festività celebrava la Luce che si rifletteva nell'allungamento della durata del giorno e nella speranza per l'arrivo della primavera. Era tradizione celebrare la Festa accendendo lumini e candele.




Festa di Imbolic


In epoca cristiana la Festa di Imbolic venne equiparata alla Candelora e poiché la Festa pagana era sotto gli auspici della dea Brigit il cristianesimo la trasformò nella ricorrenza di Santa Brigida.



Nella religione romana il mese di Febbraio, ultimo mese dell'inverno, era dedicato ai riti di purificazione e fecondità. L'antico verbo "februare" significa purificare ed è connesso con il dio etrusco degli inferi Februus a cui si offrivano sacrifici nella seconda metà del mese.



dio degli inferi etrusco Februus

Fra questi riti, due erano particolarmente importanti: il primo era dedicato alla dea Giunone Sospita -Salvatrice - protettrice dei parti. Veniva fatta una processione notturna con fiaccole che rievocava la dedicazione del tempio alla dea sul Palatino. 


Lupercali


Il secondo rito si celebrava verso la metà di febbraio, i Lupercali. Era un rito carnevalesco nel corso del quale i celebranti, ricoperti esclusivamente con pelli strappate a capre appena sacrificate, percorrevano di corsa la Via Sacra colpendo con corregge di pelle di capra tutte le donne che incontravano. I colpi venivano accettati di buon grado poichè si pensava che assicurassero la fecondità.

Con il cristianesimo la Chiesa di Gerusalemme fissò originariamente il 15 febbraio come ricorrenza di due riti che secondo la tradizione ebraica dovevano essere celebrati quaranta giorni dopo la nascita di un figlio maschio: la Presentazione al Tempio per la circoncisione e la Purificazione della madre.

Successivamente, avendo poi fissato la nascita di Cristo il 25 dicembre la Chiesa di Roma spostò la ricorrenza al 2 di febbraio anche per evitare l'imbarazzante coincidenza con la sfrenata Festa dei Lupercali che era ancora molto popolare.

Tra le due feste religiose cristiane: la Presentazione di Gesù al Tempio e la Purificazione di Maria la prima era considerata più importante. Data la compresenza della celebrazione del rito in onore a Giunone si cercò ad un certo punto di dare maggiore rilievo anche alla Purificazione di Maria per distogliere i fedeli dall'antico rito pagano.


A livello locale esistono diversi proverbi riguardo la Candelora io qui ne cito due:

Trieste

Se la vien con sol e bora
de l'inverno semo fora.
Se la vien con piova e vento
de l'invrno semo drento.


Padova

A Candelora
dall'inverno semo fora,
ma se piove e tira vento
dall'inverno semo dentro.

sabato 6 febbraio 2016

IL RATTO DELLE MARIE


In origine il 2 febbraio, festa della Purificazione di Maria, a Venezia vi era l'usanza di benedire le coppie che si sarebbero sposate entro l'anno.

Pare che la Festa delle Marie sia stata istituita nel IX secolo a Venezia per incrementare i matrimoni in una città che ancora era poco abitata. Si voleva in quella particolare occasione dare aiuti a chi si trovava in condizioni disagiate. Questi matrimoni erano possibili grazie alla donazione della dote fatta dai nobili di Venezia alle fanciulle e al successivo omaggio del Doge.
Era consuetudine del Doge concedere in prestito alle fanciulle gli splendidi gioielli provenienti dal tesoro della città. Le doti erano portate in casette di legno appositamente costruite e chiamate "arcelle" o "capselle".



Le dodici fanciulle che venivano scelte, 2 per sestriere, Venezia è divisa in Sestrieri, tra le più povere e belle e soprannominate Marie. I matrimoni venivano poi celebrati presso la Basilica di San Pietro di Castello.








Il corteo delle Marie sfilava in una processione di barche con anche il Bucintoro per i rii della città, si assisteva a funzioni religiose nelle principali chiese di Venezia e si poteva partecipare a balli, musiche e rinfreschi organizzati dai cittadini. Il Doge seguito dai nobili accompagnava le spose a San Marco e consegnava loro i ceri benedetti e le invitava ad un banchetto in Palazzo Ducale.



La possibilità di avvicinarsi alle Marie era considerata di buon auspicio, oltre che un'occasione per veneziani e stranieri di vedere da vicino delle ragazze meravigliose con addosso gioielli rari e pregiatissimi. Sono le ragazze ad assumere il ruolo predominante nei festeggiamenti in quanto future spose e madri di veneziani forti e coraggiosi.  I futuri mariti rimangono nell'ombra durante il periodo dei festeggiamenti. La Festa si protraeva per molti giorni, anche due settimane.

  
Nell'anno 844, sotto il Doge Pietro Tradonico o, come alcuni cronisti tramandano, nel 946 sotto il dogale di Pietro III Candiano, mentre le dodici fanciulle agghindate con i più bei gioielli venivano condotte in barca al "rito della purificazione" alla chiesa di San Nicolò al Lido, un gruppo di pirati narentani provenienti dalle coste dalmate capitanati dal Gaiolo assaltarono la la barca e rapirono le dodici spose e i loro beni e fuggirono a bordo di due veloci vascelli si dileguarono velocemente.




La rabbia e l'indignazione dei veneziani furono tremende. Ripresisi dallo stupore di quell'arrembaggio costituirono immediatamente una flotta che, condotta dallo stesso Doge Pietro Candiano in persona inseguì i pirati fino alle coste di Caorle nei pressi della foce del fiume Livenza. I veneziani ebbero anche l'appoggio dei caorlesi ed insieme sconfissero e uccisero i pirati. I veneziani liberarono le dodici fanciulle e recuperarono il bottino quindi fecero ritorno a Venezia. Da allora il luogo della battaglia con i pirati fu chiamato Porto delle Donzelle, ora Porto Santa Margherita.




Fatto ritorno a Venezia fu organizzata una grande festa con le dodici Marie portante in trionfo per le calli della città.

  




Da quell'evento la Festa delle Marie assunse anche il significato di ringraziamento alla Madonna per la sua intercessione e commemorare la vittoria sui pirati. Nel corso degli anni il numero delle Marie è cambiato diverse volte.

Nel tempo anche il significato e l'interesse verso questa festa mutò.  Infatti la Festa delle Marie creava non poco scompiglio: accadeva spesso che le ragazze in procinto di sposarsi venissero corteggiate, o nel peggiore dei casi violentate dagli uomini accorsi a vederle. 

Inoltre il sorteggio delle Marie causava aspri attriti tra le famiglie, tanto tra quelle povere che, in caso di perdita protestavano per la mancata vittoria; tanto tra quelle ricche che non volevano sobbarcarsi gli oneri economici previsti. 
Così a partire dal 1343 le dodici bellissime fanciulle in "carne ed ossa" vennero sostituite da statue di legno chiamate "Marione" o "Marie di Toa"-Marie di legno.





Esse venivano vestite e ingioiellate, ma a differenza delle Marie "umane" non venivano munite di dote e al termine della Festa il corredo tornava alla famiglia che ne deteneva il legittimo possesso. Con questa impostazione però la Festa delle Marie perse molto il suo senso originario e insieme ad esso il favore dei veneziani che reagirono in maniera sdegnata e rabbiosa cercando addirittura di sabotare la festa.
Le dodici Marione erano spesso oggetto di scherno e venivano colpite da lanci di pietre o di immondizie. Per cercare di debellare tale comportamento da parte dei veneziani nel 1349 fu emanata una legge che vietava il lancio di oggetti verso le Marie de Toa, la trasgressione era punita con la galera. Nel 1379 la Festa delle Marie fu soppressa.

La rievocazione storica della Festa delle Marie è stata ripresa nel 1999 con alcune varianti, il 2 febbraio di ogni anno la Maria eletta la più bella delle dodici interpreta il "Volo dell'Angelo" - La Colombina - in Piazza San Marco come apertura del Carnevale.




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martedì 2 febbraio 2016

IL PONTE DI BASSANO



L'antico nome di Bassano si pensa risalga al II secolo A.C. quando i Romani resero coltivabile il territorio. Fundus Baxiani indicava infatti la proprietà agricola di un certo Bassio o Bassus.




Camminare per Bassano si respira la Storia, la Storia dei grandi eventi e la Storia dell'Arte. Poi c'è la storia famigliare, quella che coinvolge la popolazione di Bassano i cui parenti a vario titolo la Grande Storia l'hanno fatta.

La Storia. Nel Medio Evo il territorio veneto era conteso da varie città che cercavano di espandere i propri confini anche con sanguinose guerre e complotti. Sempre il territorio veneto è stato per secoli territorio di confine tra le genti italiche, che confinavano con Ferrara e Milano, in quanto confine tra territori papali e Sacro Romano Impero con Federico Barbarossa, genti germaniche. Vi erano inoltre vari Signori della Guerra che poi ottenevano diritti territoriali ed erano appoggiati politicamente dal Papa o dall'Imperatore. Una storia a parte la merita gli Ezzelino. Qui nominati perché estesero il loro dominio anche su Bassano.

Alla morte di Ezzelino III nel 1259 i bassanesi ottennero la protezione di Padova riservandosi tutti i beni e i diritti dell'epoca ezzeliana e uno statuto comunale.
A partire dal 1260 Bassano viene sottomessa prima a Vicenza, 1260-68, poi a Padova, poi a Verona e di nuovo a Padova per passare sotto il governo dei Visconti nel 1388.

L'espansione territoriale della Repubblica di Venezia giunse fino a Bassano il 10 giugno 1404. Anche qui, non è che tutti fossero felici di stare sotto i veneziani vedi Padova e i Carraresi ma per la cronologia degli eventi rimando al sito: http://www.magicoveneto.it 
A Bassano venne data una certa autonomia.

Il 27 dicembre del 1760 il Senato Veneto innalzò Bassano al rango di città.

Bassano è attraversata dal fiume Brenta che la divide in due. Il Ponte Vecchio o Ponte degli Alpini nei secoli ha subito numerosi interventi e ricostruzioni dalla data della sua costruzione documentata nel 1209 ad opera di Gerardo Maurisio.





Fu Andrea Palladio che nel 1569 progettò il nuovo ponte ligneo dandogli l'aspetto attuale. Una piena del Brenta nel 1748 distrusse l'opera palladiana che fu poi ricostruita da Bartolomeo Ferracina tre anni dopo. 

L'8 settembre del 1796 Napoleone sconfisse gli austriaci a Bassano dando inizio a un periodo tormentato per tutto il territorio. Con la caduta di Venezia e la firma del Trattato di Campoformio Napoleone cede i territori della Serenissima all'Impero Austroungarico istituendo il Regno Lombardo-Veneto dove il Veneto diventa il granaio dell'Impero degli Asburgo.
Senza contare le opere d'arte trafugate da Napoleone e portate i Francia come bottino di guerra. Anche Ugo Foscolo che tanto inneggiava al Liberatore ne fu profondamente deluso, era un'altro conquistatore punto.


Nel 1813 il Ponte fu incendiato dal Vicerè Eugenio di Beauharnais e successivamente riedificato nel 1821 da Angelo Cesarotti.

Durante il Regno Lombardo Veneto Bassano passa sotto la provincia di Vicenza. Il Regno Lombardo Veneto entrò a far parte del Regno d'Italia nel 1866 per effetto della pace di Vienna.

Arriviamo alla Grande Guerra del 1915-18. Con la disfatta di Caporetto nel 1917 si riversarono in città centinaia e centinaia di soldati seguiti da intere carovane di fuggiaschi civili provenienti dai vari paesi invasi dagli austro-ungarici. Furono giorni terribili anche perché gli austriaci erano quasi alle porte della città in quanto il fronte di guerra si era attestato sul Monte Grappa e nella Valsugana.

A seguito del tragico bilancio della guerra, 23.000 soldati sono sepolti sull'Ossario del Grappa, il governo fascista decise nel 1928 di cambiare il nome della città: da "Bassano Veneto" a Bassano del Grappa.






Il nostro esercito di terra era formato da fanteria e poi dagli Alpini, che non so esattamente perché ma sono amati da tutti. Nelle loro canzoni c'è il quotidiano di trincea, la nostalgia di casa, la nostalgia dell'amata e poi alcuni canti religiosi che a sentirli fanno venire la pelle d'oca come "Signore delle Cime":



Signore delle Cime di Bepi de Marzi



Coro Brigata Cadore - Sul Ponte di Bassano


Museo Ponte degli Alpini


Arriviamo alla seconda Guerra Mondiale. Dopo la firma dell'armistizio l'8 settembre 1943 una parte d'Italia, la Repubblica Sociale Italiana, della quale il Veneto faceva parte, si schierò con i tedeschi nel proseguo della guerra. In realtà anche nel territorio della RSI c'erano civili e soldati a favore e civili e soldati contro, infatti si potrebbe benissimo dire che iniziò una guerra civile all'interno di una guerra mondiale. Quelli che erano contro l'essere ancora alleati ai tedeschi erano considerati nemici della Patria, non era solo finire o meno la guerra era anche, una volta in pace, che tipo di governo dare alla nazione: ideologia comunista con governo alla Stalin o ideologia capitalista guardando all'America. In guerra le tinte sono forti e le sfumature o i compromessi, il dialogo cedono il passo al bianco o nero, o meglio, rosso. 

Così anche Bassano nel suo piccolo fu toccata da vicino da tutti questi avvenimenti.

Il 26 settembre del 1944 a Bassano vennero impiccati 32 partigiani lungo il viale che poi si chiamerà Viale dei Martiri. Dal 20 settembre fino alla fine del mese nella battaglia del Grappa morirono 171 impiccati, 603 vennero fucilati e 804 persone furono deportate, di queste 600 non fecero ritorno.






Monte Grappa 1944 - Documentario storico







26 settembre 1944



Il ponte fu poi raso al suolo per la terza volta il 17 febbraio 1945 appena passate le 19.00, ora in cui iniziava il coprifuoco.  Il Ponte Vecchio di Bassano veniva lacerato da una forte esplosione. L'azione di sabotaggio, che faceva parte di un piano più vasto voluto dagli Alleati contro i ponti della Pedemontana, fu eseguita da un gruppo di 15 partigiani tutti armati e in bicicletta due dei quali trainavano, ciascuno a rimorchio, un carrettino carico di esplosivo innescato. I danni furono notevoli e ci furono anche due vittime. Il comandante del gruppo era Primo Visentin nome di battaglia "Masaccio" come ricorda la targa presente ancora sul ponte.

Per rappresaglia i nazisti prelevarono dalle prigioni tre partigiani e li fucilarono sul ponte, si chiamavano: Federico Alberti, Cesare Lunardi e Antonio Zavagnin. Venne da loro indossato un cartello con scritto:"Io sono un bandito". 




17 febbraio 1945


Il ponte fu poi ricostruito secondo l'originale disegno di Andrea Palladio per espressa volontà degli Alpini, da quel momento è nato il nome di Ponte degli Alpini che venne inaugurato il 3 ottobre del 1948 alla presenza di Alcide De Gasperi.

Il Ponte fu poi gravemente danneggiato dall'eccezionale alluvione del 4 novembre 1966 da allora viene effettuato un sistematico restauro strutturale.




 1947 - Ricostruzione del Ponte Vecchio detto poi il Ponte degli Alpini



Vista dal Ponte degli Alpini

La Pace non è mai scontata e la Storia dovrebbe ricordarcelo.



sabato 11 luglio 2015

TORNADO THE DAY AFTER


Come per l'alluvione del 2010 che colpì i territori di Padova e Vicenza anche questa volta l'informazione nazionale è latitante... onore al merito alla stampa locale e ad alcune tv locali che fanno anche da ponte per la comunicazione con la Protezione Civile. 
Antenna 3 è molto attiva e comunica informazioni che servono anche per la gente del luogo che magari ha pure parenti e conoscenti nelle zone colpite.


Non c'è tempo per le lacrime e siamo già al lavoro, non c'è tempo da perdere e anche Villa Fini verrà ricostruita.

L'amarezza che ci può essere è che per la seconda volta da Roma 
ci fanno sentire cittadini di serie B

Ora rimango in silenzio e lascio parlare le immagini.


Villa Fini Dolo 8 Luglio 2015


Oltre 300 Km/h

Villa Fini Dolo 9 Luglio 2015







 «Abbiamo vissuto momenti di terrore. Tutto è durato 5 minuti, ma sembrava l’apocalisse».




In relazione ai gravi fatti accaduti nella giornata di ieri - 8 luglio 2015 - nella Frazione di Cazzago di Pianiga, il Comune di Pianiga ha aperto un conto corrente bancario per la sottoscrizione di aiuti in denaro destinati ai cittadini colpiti dalla calamità. Chi intendesse versare i contributi può farlo tramite i seguenti riferimenti:

Banca Santo Stefano Agenzia di Pianiga
Via Guido Rossa, 1 - 30030 Pianiga (Ve) - tel. 041/5781472
IBAN: IT68K0899036230019010000936
BIK: ICRAITRRRI0
INTESTATO A COMUNE DI PIANIGA
CAUSALE: Comune di Pianiga Emergenza Tornado Cazzago

Al momento sono attivi i vigili del fuoco e personale volontario preparato, chi volesse in un secondo momento dare una mano può rivolgersi a:


domenica 5 luglio 2015

VILLA BADOER TRA ARTE E STORIA

  




Villa Badoèr detta la Badoera, è una villa veneta e si trova a Fratta Polesine in provincia di Rovigo. E' stata progettata dall'architetto Andrea Palladio nel 1554 e costruita tra il 1556 e il 1563 su commissione di Francesco Badoer. E' la prima villa in cui il Palladio utilizza pienamente un pronao con frontone a facciata, inoltre è l'unica villa realizzata dall'architetto vicentino nel territorio polesano.

Le sale del piano nobile sono finemente decorate da grottesche di bellissima realizzazione da parte del pittore Giallo Fiorentino.

Villa Badoer e le altre ville palladiane del Veneto è inserita nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. 

La barchessa settentrionale della villa ospita il Museo Archeologico Nazionale di Fratta Polesine.








 








Donata Badoer appartenente all'antica famiglia patrizia veneziana e antenata di Francesco, era figlia di Vitale Badoer e sposò Marco Polo da cui ebbe tre figlie: Belella, Fantina e Moreta Polo.



La prosperità economica di questa famiglia diede anche origine ad un modo di dire: pien come el Badoer per indicare una persona molto ricca.




Le giornate della Carboneria -XIV Edizione
7, 8 e 9 novembre 2015
Fratta Polesine


La rievocazione dei moti carbonari nella "Fratta austriaca" del 1818 e la loro repressione rappresenta un tributo alla nostra Storia risorgimentale e agli ideali che hanno sostenuto il concetto di Patria.




Pranzo offerto ai Carbonari da Cecilia Monti di Fratta


Nei giorni successivi al pranzo offerto ai Carbonari da donna Cecilia Monti di Fratta, i convitati vennero arrestati, processati e condannati al carcere duro dello Spielberg. 

Il conte Antonio Fortunato Oroboni, compagno di prigionia di Silvio Pellico che lo ricorda ne "Le mie prigioni", non sopravvisse agli stenti e morì dopo due anni.























Pranzo offerto a Carbonari da Cecilia Monti di Fratta

Nei giorni successivi al pranzo offerto ai Carbonari da donna Cecilia Monti di Fratta, i convitati vennero arrestati, processati e condannati al carcere duro dello Spielberg. Il conte Antonio Fortunato Oroboni, compagno di prigionia di Silvio Pellico che lo ricorda ne “Le mie prigioni”, non sopravvisse agli stenti e morì dopo due anni.


LEGGENDA DEL NODO D'AMORE








L'antico paese di Valeggio sul Mincio situato tra le città di Mantova e Verona vanta una propria leggenda quella degli innamorati Silvia e Malco


Il Nodo d'Amore


Alla fine del 1300 nel corso di una delle numerose guerre tra varie Signorie e feudatari che segnarono l'Italia settentrionale il Signore di Milano, Giangaleazzo Visconti detto il Conte di Virtù, raggiunge le sponde del fiume Mincio e vi stabilisce una testa di ponte per lo sviluppo di un piano militare contro i suoi nemici.

Nell'accampamento delle truppe viscontee il buffone Gonnella intrattiene i soldati alla luce fioca dei falò raccontando un'antica leggenda.

Le acque del Mincio sono popolate da ninfe bellissime che talvolta escono dal fiume per danzare in prossimità delle rive, ma una vecchia maledizione le costringe ad assumere le sembianze delle orribili streghe.



Mentre i soldati di tutto l'accampamento dormono, giungono dal fiume le streghe che si mettono a danzare tra i soldati addormentati. Soltanto Malco, il loro valoroso capitano, si ridesta e affronta le misteriose creature che vedendosi scoperte fuggono verso il Mincio.
Una di queste però viene raggiunta e nel disperato tentativo di scappare perde il mantello che l'avvolgeva rivelandosi a Malco come ninfa.



Nel breve corso della notte tra i due nasce l'amore e l'alba li sorprende a promettersi eterna fedeltà.

Silvia, la bella ninfa, deve ritornare nelle profondità del fiume prima del sorgere del sole e lascia a Malco, come segno d'amore, un fazzoletto teneramente annodato. Il giorno seguente giungono alla presenza del Conte di Virtù tre splendide ambascerie, durante il ricevimento alcune belle fanciulle eseguono una danza in onore degli ospiti del Conte. Il capitano Malco riconosce in una di esse Silvia che l'amore per il bel soldato l'ha spinta ad affrontare il tumultuoso mondo degli umani.




Gli sguardi innamorati di Silvia e Malco destano però la gelosia di Isabella, la nobile dama cugina del Conte di Virtù che aspira a conquistare il cuore del capitano Malco.

Spinta da tale gelosia, Isabella denuncia Silvia come strega al Conte di Virtù. La festa viene interrotta e viene dato l'ordine di arresto per Silvia. Malco tempestivamente si frappone tra lei e le guardie e permette così a Silvia di fuggire verso le acque del fiume Mincio. Malco si arrende alle guardie e consegna la sua spada al Conte adirato. Al calar della sera Isabella tormentata dal rimorso per il suo gesto, si presenta a Malco che langue in cella ed invoca il suo perdono. Mentre i due parlano sopraggiunge Silvia ancora una volta emersa dalle acque per salvare il suo amato Malco e costringe Isabella ad andarsene.


Silvia propone a Malco l'unica via di scampo: non sulla terra dove ormai non ci può essere felicità per i due amanti ma nelle acque del Mincio dove vivono le ninfe. Malco accetta senza esitazione e si dirige con Silvia verso il fiume.



Il Conte di Virtù allertato dalle guardie della fuga dei due amanti si lancia al loro inseguimento ma viene momentaneamente trattenuto da Isabella, la quale pentita, chiede rispetto e comprensione per il loro grande amore che non conosce limiti.




Le guardie e il Conte arrivano alle sponde del fiume poco dopo che i due innamorati Malco e Silvia si sono lasciati trasportare nelle acque del Mincio. Il Conte di Virtù trova abbandonato sulla riva un fazzoletto di seta dorata simbolicamente annodato dai due amanti per ricordare il loro eterno amore.





Ancora oggi si racconta che le donne e le ragazze di quel tempo nei giorni di festa avessero voluto ricordare la storia dei due innamorati tirando una pasta sottile come la seta tagliata e annodata come il fazzoletto dorato e arricchita da un delicato ripieno.

Era nata la leggenda del Nodo d'Amore e la tradizione del Tortellino di Valeggio.




Dal 1300 ad oggi ogni anno a Valeggio sul Mincio gli abitanti organizzano una cena popolare per commemorare i due innamorati  tramandando la tradizione del tortellino a nodo d'amore. 








sabato 4 luglio 2015

LA PRINCIPESSA JANA E I NANI DI VALMARANA


 
Giovanni Antonio Fasolo - ritratto della famiglia Valmarana
Pinacoteca Palazzo Chiericati - Vicenza


Questa volta vi racconto


una delle più note ed antiche leggende vicentine

Quella della principessa Jana e dei nani di Villa Valmarana


Si narra di un nobiluomo vicentino che aveva una figlia, Jana, dal bellissimo volto ma dal corpo piccolino, era nata nana. Il padre che amava molto la figlia, le fece costruire una grande villa ai piedi di Monte Berico, lontano da occhi indiscreti e la circondò di uno stuolo di servi della sua stessa statura pronti a soddisfare ogni suo desiderio. In questo modo, pensava il padre, non poteva rendersi conto della sua diversità né avere contatti con persone provenienti dal mondo esterno la villa che avrebbero potuto procurarle inutili sofferenze e frustrazioni.

Alla fanciulla era stato infatti proibito di affacciarsi alle finestre della villa che davano sulla strada mentre poteva girare tranquillamente per il parco, Jana non poteva nemmeno uscire da quella gabbia dorata, viveva felicemente inconsapevole di come fosse effettivamente la realtà fuori fuori da quelle mura. Jana ormai si era fatta una giovane donna ma non aveva fino ad allora conosciuto né le gioie né i dolori dell'amore. Crescendo la ragazza si era fatta sempre più curiosa e decise che era arrivato il momento di sperimentare di persona il mondo "fuori le mura" aggirando così i divieti del genitore.

Un giorno si affacciò proprio ad una delle finestre che davano sulla strada sottostante proprio nel momento in cui stava transitando a cavallo  un giovane principe che vedendo il suo bel volto se ne invaghì. Jana per timidezza quel giorno non uscì sul terrazzo e rimase affacciata alla finestra a ricambiare il cortese saluto del principe poi i due si accomiatarono, il giorno successivo più o meno alla stessa ora Jana si affacciò di nuovo a quella finestra nella speranza di rivedere quel bel principe a cavallo, si sentiva battere forte il cuore in petto, poi pensò: "E se non viene?" ma tale dubbio fu fugato dopo poco tempo, lungo la strada le parve di sentire da lontano il rumore della cadenza tranquilla degli zoccoli di un cavallo, era il suo principe! ne era sicura. 

Con il cuore in gola si sporse più che poté dalla finestra ed alla fine lo vide arrivare. Per l'occasione Jana aveva indossato il suo vestito più bello e visto che era primavera aveva messo tra i capelli dei piccoli fiori azzurri a mo' di coroncina, questa volta il principe si sarebbe fermato a parlare con lei e lei sarebbe uscita in terrazzo, voleva mostrarsi a lui e fargli vedere quanto era bella. Quando finalmente il principe arrivò i due ragazzi si misero a conversare e dopo un po' Jana prese coraggio ed uscì in terrazzo. Ma quando lei uscì e si mostrò per com'era vide sul volto del principe un'espressione di orrore e fuggì lasciando che Jana continuasse a chiamarlo a voce alta. A quei richiami della ragazza i nani della servitù, erano diciassette, corsero tutti in cima al muro di cinta per vedere cosa stava succedendo. 

La ragazza disperata dalla reazione del principe realizzò per la prima volta nella sua vita ciò che era, e ciò che era, ne era convinta Jana, faceva inorridire il suo bel principe. Tra le lacrime per quella pena d'amore e per il suo aspetto che ora percepiva come "diverso" Jana andò incontro al suo destino infelice: proprio da quel terrazzo si tolse la vita gettandosi nel vuoto.

Si narra che i suoi fedeli servitori, saliti sul muro di cinta rimasero impietriti dal dolore nell'assistere alla triste sorte della loro padroncina e ancora oggi li si può vedere in questa triste posa.

 Riporto anche una versione della leggenda di Jana in dialetto veneto:

"Cò te passi el Cristo,'pena zo da Monte, te pol ciapare par na stradela indove te par che anca i griji tasa, incantà dai cocòli che se fa i morosi inte la chiete dei cantoni pi riomàntici e sconti. A te te caterè presto passejar drio na mura che costeja la magnifica Vila Valmarana e là, da l'alto, fa la guardia on s'ciaspo de nani in piera: chi co la facia bièrba e sgaja, chi perso drio i sò pensieri, chi vestìo a la manco pezo e chi che fa 'l galeto co 'l so costume de corte e paruca insiprià. Vòle la tradission che ste creature, ani enòri, fusse custodi de la "Jana", pricipessa che, par so scarogna, jera "nana".

I sui, par no farghe pesare la sò diversità, la gavea da sùito tegnù sarà co 'l scroco 'te la Vila, metèndoghe al servissio na corte intiera de nani, da i servidori a le dame de compagnia, da i cavalieri ai òmani qualunque che inte on regno qualsiasi se pol catare. Adiritura, la legenda conta che parfina i animai che la gavea torno fusse "nani", e le piante, e i fioriche spaniva torno a chel lògo... Ma anca se na natura maregna gavea vossudo saràrghe a sta pora tosa la speransa de poder on dì conossàre l'amore, la Jana la gavea tuti i sogni che da senpre tàmbura 'tel core de le zovanette, cò le riva a l'età da marìo.

E na matina la principessa, fin che la varda fòra dal balcon, la vede al de là de la masièra on cavaliere belo 'fa 'l sole, inmagà davanti a l'armonia de la natura de la "Valletta del silenzio". La Jana se inamora de paca ma, 'tel stesso momento, la capisse anca la so "diversità" xe 'n inpedimento massa grando e che no la podarà mai sperare che 'l so amore par el bel cavaliere spanissa e vegna liberamente ricanbià.... Par la disperassio, la se trà zo dal balcon e tuti i nani de la Vila, par el dolore de la so morte, resta pietrificà".

autrice: Ines Scarparolo







Diciassette statue di nani si affacciano sul muro di cinta e danno il nome alla Villa. Attorno a queste figure enigmatiche è nata la leggenda di Jana


La Villa, è diventata di proprietà nel 1720 della nobile famiglia vicentina dei Valmarana, che tutt'ora vi abita, è aperta al pubblico, così come la attigua villa più conosciuta: Villa Capra detta "La Rotonda" del Palladio ed anch'essa di proprietà dei Valmarana. Le due Ville distano poche centinaia di metri l'una dall'altra.




Classico esempio di "Villa di campagna", Villa Valmarana fu inizialmente costruita per conto del giuriconsulto Gian Maria Bertolo nel 1669. 

Nel XVIII secolo, l'ultimo della Repubblica di Venezia, la vita dei nobili era tutta assorbita da divertimenti e ostentazione: le ville lungo la Riviera del Brenta ospitavano spesso feste sfarzose che duravano anche più di un giorno. Con la necessità di alloggiare gli invitati le barchesse - ovvero i granai sotto le cui arcate in cui venivano riposte le barche - furono trasformate in foresterie per assolvere a questa esigenza: ospitare i "foresti" cioè coloro che venivano da fuori, in questo caso gli ospiti dei nobili. Così fecero anche i Valmarana. 

La palazzina principale e la foresteria furono affrescate da Giambattista e Giandomenico Tiepolo.


 


Gli affreschi di Giambattista e Giandomenico Tiepolo

"Oggi ho visitato la Villa Valmarana decorata dal Tiepolo che lasciò libero corso a tutte le sue virtù e alle sue manchevolezze. Lo stile elevato non gli arrise come quello naturale, e di quest'ultimo ci sono qui cose preziose, ma come decorazione il complesso è felice e geniale."

da: Diario del viaggio in Italia - Goethe, 24 settembre 1786